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Musei a cielo aperto a Campobasso 1024 683 Molise Eccellenze

Musei a cielo aperto a Campobasso

MUSEI A CIELO APERTO A CAMPOBASSO: LA STREET ART NEL QUARTIERE SAN GIOVANNI

Colori sgargianti e figure tridimensionali, che sembrano quasi prendere vita, hanno sopraffatto ormai da qualche anno l’anonimo grigio originario delle mura dei palazzi di alcune zone del capoluogo. Impossibile per i passanti non alzare lo sguardo per, poi, rimanere catturati dalla bellezza di un vero e proprio museo a cielo aperto.

Dal 2011, infatti, il progetto “Draw the line”, promosso dall’Associazione Malatesta, ha permesso la riqualificazione delle facciate di alcuni edifici del quartiere di San Giovanni attraverso la popolare street art, con artisti come Dado, Vesod, Joys, Macs, Peeta e altri.

“Peeta lettering” di Peeta – 2016

Nel 2016, Manuel Di Rita, in arte Peeta ha realizzato la sua opera “Peeta lettering” sulla facciata di un edificio in via Liguria, entrata nella classifica dei primi venti murales più belli al mondo. Nel mezzo del prato adiacente al palazzo, vi è un paletto che indica agli osservatori il punto preciso da cui poter ammirare l’opera. L’artista ha svolto un certosino studio geometrico per realizzare un virtuosistico effetto anamorfico sul palazzo; il disegno non si limita soltanto alla facciata cieca, bensì si estende anche sulla parte laterale destra, dove le finestre diventano un tutt’uno con l’illusione ottica del disegno. E non è tutto: qualche anno fa, sulla rivista ufficiale della American Airlines, grande compagnia aerea statunitense, il capolavoro di Peeta ha colpito gli occhi dei lettori in viaggio, cosa che non è sfuggita ad un campobassano in particolare: il caso ha voluto, infatti, che venisse a conoscenza della presenza degli scorci campobassani sui voli intercontinentali di American Airlines proprio da parte di un suo amico in viaggio verso New York.

“La cuccagna” – 2017

Una metafora spettacolare e cruda degli effetti del capitalismo, come si deduce dal nome del murales scelto sicuramente non a caso. Nella parte superiore campeggia una giostra dorata, simbolo dell’opulenza, che gira senza sosta, insieme a banconote di grosso taglio, lingotti d’oro e beni di lusso. Non a tutti è concesso di raggiungere questa dimensione di privilegio, come si vede nella parte inferiore, in cui gli spietati tutori dell’ordine controllano scrupolosamente gli accessi. Un marchingegno lussuoso e sfavillante alimentato dal lavoro forzato di sfruttati e oppressi, come si deduce nella parte centrale dell’opera: è il rosso a dominare questa parte del disegno, simbolo di schiavitù e di fatica. Al di sotto di tutto, trovano sfogo tutte le scorie e le sostanze inquinanti prodotte dagli eccessi della grande giostra: una chiara e amara considerazione sull’inquinamento.

“It’s not a game” di Macs – 2017

Un quartetto delle più alte personalità politiche mondiali che giocano a Risiko con il pianeta. “Non è un gioco”: una scelta del titolo sicuramente non casuale da parte dell’artista, un invito alla riflessione.

Gioielleria Norelli: una storia lunga trent’anni 1024 686 Molise Eccellenze

Gioielleria Norelli: una storia lunga trent’anni

Grazie al mio gioielliere posso tenere al dito un lago di zaffiro e intorno al collo foglie di smeraldo. E posso portare con me, ovunque vada, un tramonto di citrino. Durante il giorno, i gioielli mi fanno sentire tutt’uno con la natura anche in un ufficio senza finestre. E se la sera devo lavorare fino a tardi, non c’è niente di più meraviglioso di un cielo di onice su cui brillano stelle di diamanti e una luna piena di perla“. (Astrid Alauda)

A comprendere bene questa citazione è sicuramente Pasquale Norelli che, nel 1993, ha trasformato la bottega da falegname di suo padre in un laboratorio d’arte orafa i cui prodotti, nel corso degli anni, hanno viaggiato ben oltre i confini regionali fino ad atterrare in vetrine di importanti città europee come Londra, Parigi e Monaco.

“Dopo otto anni di studi a Firenze, sono tornato a Campobasso e ho aperto Norelli Gioielli, mettendo a servizio dei clienti le tecniche e le conoscenze apprese in quella che può essere definita la patria delle migliori scuole e botteghe orafe al mondo”.

Così, anno dopo anno, il laboratorio di Corso Giuseppe Mazzini ha dato vita a tantissimi oggetti preziosi la cui caratteristica principale è sicuramente l’unicità.

“Tutti i miei gioielli sono ideati e realizzati rigorosamente a mano, con cura e perizia. L’obiettivo è creare sempre oggetti unici, tutti diversi l’uno dall’altro”.

Un modus operandi che, unito alla capacità di saper coniugare modernità e tradizione, ha condotto Pasquale a grandi soddisfazioni.

“Un giorno venne in laboratorio un frate che non conoscevo. Mi portò una grande quantità di oro, due denti di Padre Pio e alcune crosticine del suo costato, chiedendomi di realizzare un reliquario per la chiesa di San Giovanni Rotondo. Mi sono sempre chiesto chi lo indirizzò da me, ma non l’ho mai saputo. L’arte sacra è sicuramente quella che mi affascina di più perché mi attrae il luogo a cui è destinata”.

Una passione quella per l’arte sacra da aggiungere alla collezione privata di preziosi antichi della tradizione orafa molisana: una vera e propria vetrina di museo, che è possibile ammirare all’interno della bottega, guidati dalla precisa e puntuale conoscenza dell’oreficeria antica alto molisana abruzzese dall’età dell’Ottocento ad oggi da parte di Pasquale.

Per saperne di più: Norelli Gioielli

Festa di San Giuseppe a Riccia 1024 576 Molise Eccellenze

Festa di San Giuseppe a Riccia

LE ORIGINI

La tradizione nasce da una leggenda che, ancora oggi, viene tramandata di generazione in generazione: un uomo anziano e povero girava tra i paesi chiedendo ristoro, ma solo a Riccia venne aiutato. Ad aprirgli le porte un uomo che, seppure non benestante, divise con il poveretto il poco cibo a disposizione, perlopiù legumi. Il popolo riccese riconobbe nel viandante il falegname di Nazareth, dando così inizio alla tradizione del 19 marzo.

IL RITO

Dopo la processione in onore di San Giuseppe, il rito è affidato alla spontaneità delle singole famiglie che provvedono ad invitare a pranzo tre persone: un uomo sposato (San Giuseppe), una donna celibe o nubile (la Madonna) e un giovane non sposato (il Bambino Gesù). Prima di iniziare il pranzo, che prevede dalle 13 alle 19 portate, vengono recitate alcune preghiere e viene condiviso tra i commensali il primo bicchiere di vino ed il primo pezzo di pane. A seguire inizia il pranzo a base di alimenti tipici della cucina tradizionale: dai legumi al baccalà per concludere con i dolci. Terminato il lungo banchetto, che si protrae fino al pomeriggio, i commensali recitano di nuovo le preghiere e viene offerto alla Sacra Famiglia un cesto composto da una pagnotta di pane, un assaggio delle pietanze servite e un numero dispari di cavezune (calzoni), i dolci tipici della Festa di San Giuseppe.

Dunque, un appuntamento ricco di preghiera e tradizione che, soprattutto in passato, richiamava l’attenzione non solo dei residenti, ma anche di molti turisti che aspettavano l’occasione della festa per bussare di casa in casa per riempire il proprio sacco di ogni offerta ricevuta.

Gocce di Brina: la missione di salvaguardare l’unicità 1024 683 Molise Eccellenze

Gocce di Brina: la missione di salvaguardare l’unicità

“Gocce di brina”: da un lato, un gioco di parole che richiama la brina per le caratteristiche delle pietre, spesso sferiche, fredde, ma brillanti. Dall’altro un simbolo: il risultato del complesso e affascinante processo di creazione di un gioiello artigianale, unico ed irripetibile, come l’emozione di un momento; una goccia d’anima, delicata come la brina, che prende forma. È con questo spirito che nasce, nel 2014, l’omonimo laboratorio artigianale, dalla passione della titolare, Sabrina Trabucco. Figlia di un maestro d’arte, pittore per passione e artigiano ormai in pensione, Sabrina eredita quella spiccata vocazione per la manualità, gli strumenti da lavoro e le mani sporche. Il suo mondo è la sua bottega che, dal 2019, si trasferisce dalla vecchia sede di Rocchetta a Volturno (IS), suo paese d’origine, alla storica e celebre Strada Orefici di Campobasso: un modo per rispondere alla crescente richiesta di creazioni personalizzate e che sottolinea la ferrea volontà di innovare nella tradizione.

Sabrina, come ama ripetere, è “leader di se stessa”: da un gioco cominciato durante gli studi universitari, smontando e rimontando oggetti che non le piacevano, si è fatta da sola, riuscendo a trasformare il passatempo in professione, sfruttando la fervente passione per le pietre e per il lavoro a mano come uno slancio per uno studio costante da autodidatta. Dai classici mercatini d’esposizione, lavoro e fatica hanno consentito all’artigiana di ottenere i primi riconoscimenti dai professionisti del settore, fino ad arrivare agli accordi commerciali: punti vendita attentamente selezionati, sia in Molise a Campobasso, Isernia, Termoli e Venafro, sia nelle regioni limitrofe, in Abruzzo a Castel di Sangro e nel Lazio a Roma, per giungere, poi, alla sede attuale.

Gocce di brina “ama essere unica”: la missione è quella di salvaguardare e difendere l’unicità, in un mondo sempre più conformato agli standard fissi dei brand. Creare un gioiello irripetibile, che racconti l’anima della persona e che la distingua dagli altri: l’artigianato non prevede per natura cose uguali, la mano crea ogni volta in modo diverso e su misura di un unico individuo, con una predisposizione innata all’empatia che all’artigiana non manca.

Il laboratorio utilizza attrezzature esclusivamente manuali per l’esecuzione delle tecniche orafe tradizionali, quali il traforo, l’incisione, la martellatura, l’imbutitura, la sabbiatura e chi più ne ha, più ne metta. Il segno distintivo dell’azienda è proprio la combinazione di pietre naturali con lavorazioni in acciaio, alluminio, rame ed ottone, che consente di realizzare linee comode, versatili e personalizzate: tutti gli ingredienti del complesso processo di creazione, che parte dall’astratto disegno del modello e arriva fino alla concretezza del prodotto finito.

L’ecletticità e, soprattutto, il profondo senso di appartenenza alla propria terra della titolare hanno portato alla creazione della linea “Love Molise”, dedicata alla valorizzazione dei luoghi e delle tradizioni della regione: dal traforo dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno fino ad arrivare agli orecchini che riproducono la forma geografica della regione di soli 5 millimetri, una dimensione che richiede una precisione infinitesimale con movimenti di pochi decimi di millimetro. Un cavallo di battaglia? Realizzare collane e orecchini, come spazio libero in cui esprimere creatività ed estro.

Attraverso la promozione su più fronti, online sui principali social network e offline tramite la partecipazione ad eventi, l’ultimo dei quali “MoliseExist” tenutosi a Montaquila nel 2019, insieme all’empatia creatasi con la clientela, Gocce di Brina è, ormai, una grande famiglia: punto di riferimento per tutti coloro che amano il prodotto artigianale, creato con estro, sapienza e personalizzato nell’idea, nella forma e nel materiale.

Per saperne di più: Gocce di Brina

Macelleria Coccagno: Dal 1965 a difesa del territorio 1024 683 Molise Eccellenze

Macelleria Coccagno: Dal 1965 a difesa del territorio

Gabriele Coccagno, coniugando passione, artigianalità e innovazione, ha trasformato la macelleria di famiglia in un laboratorio dove a fare da protagonista è la territorialità.

Campobasso – A pochi passi dal centro, tra la stazione dei treni e il terminal, c’è una piccola macelleria, la cui insegna quasi si confonde tra quelle degli altri negozietti presenti in via Giambattista Vico. E perderla tra la folla sarebbe davvero un peccato! Al suo interno “si nasconde” Gabriele Coccagno che, coniugando passione, artigianalità e innovazione, ha trasformato la macelleria di famiglia in un laboratorio dove a fare da protagonista è la territorialità.

“La ricerca della qualità -racconta Gabriele- è da sempre il nostro cavallo di battaglia. La nostra sfida è dimostrare che alcuni prodotti legati all’industria -almeno nell’immaginario collettivo- si possono realizzare anche artigianalmente. Questo ci permette di offrire prodotti naturali e altamente digeribili: privi di polifosfati, coloranti e glutammati”.

Gabriele, infatti, accanto ai salumi stagionati caratteristici della gastronomia molisana, propone prodotti tipici di altri luoghi rivisitati in chiave artigianale. Dai würstel agli arrosti di tacchino al vapore, passando per il prosciutto cotto “San Nicola” (offerto anche nella variante con la Tintilia), alla famosissima Molisella, una vera mortadella Moli_Sana, disponibile in tre versioni: al pistacchio, alla cipolla e al tartufo.

“La ricetta della Molisella -racconta Gabriele- è segreta, ed anche per questo ho deciso di brevettarla, depositando il marchio presso il Ministero dello Sviluppo Economico. Inoltre, ha ricevuto attenzione anche dall’Università degli Studi del Molise con una tesi di laurea seguita dal Prof. Giuseppe Maiorano”.

Un lavoro fatto di studio, sperimentazione e ricerca che, nel corso del tempo, ha condotto Gabriele non solo a vendere i suoi prodotti nelle regioni limitrofe, ma anche a ricevere diversi riconoscimenti come il “Premio Dino Villani 2021” per la “soppressata casereccia” da parte dell’Accademia Italiana della Cucina e, nel 2018, la “Stella della Gastronomia” dalla Federazione Cooking Show. E, sicuramente, di successi ne arriveranno ancora tanti per la Macelleria Coccagno i cui prodotti, dal sapore unico e irripetibile, si potrebbero distinguere tra mille altri.

Per saperne di più: Salumeria Coccagno

RITUALE DELL’UOMO CERVO 1024 683 Molise Eccellenze

RITUALE DELL’UOMO CERVO

Carnevale di Castelnuovo al Volturno: alla scoperta del rituale dell’uomo cervo

Semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito fare pazzie. È così che recita una nota sentenza, attribuita a Seneca. E quando, se non a Carnevale, è permesso tirar fuori quella radice ancestrale e tracotante dell’essere umano, quel puro istinto che appartiene alla profonda natura animalesca dell’uomo? Quella che rappresenta, in fondo, la conditio sine qua non della rinascita, del trionfo dell’ordine sul caos. D’altronde, è questa la vera essenza del Carnevale: attraversare la perdizione, per poi risorgere. La natura ha bisogno di morire, per rinascere, poi, a primavera. Ed è così che, dai tempi in cui mito, leggenda e realtà si confondono, il passaggio da una stagione all’altra viene sancito con un rituale apotropaico.

Immaginiamo, ora, di essere a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta a Volturno, incantevole zona della provincia di Isernia. È l’ultima domenica di Carnevale e, la cornice crepuscolare del tramonto che avvolge l’unica piazza presente, le case e i monti delle Mainarde in un unico e suggestivo dipinto, offre lo scenario per un rituale carnevalesco tutto molisano: il rito dell’Uomo Cervo, “Gl’ Cierv” per la precisione. Il tintinnio ridondante dei campanacci, suonati dalle Janare in arrivo, lascia presagire a centinaia di spettatori trepidanti di attesa che qualcosa di magico si sta per compiere. E, poi, ecco gli Zampognari. Trambusto, grida ossesse e bramiti annunciano l’arrivo impetuoso dell’Uomo Cervo, la bestia, “Gl’ Cierv”; i suoi attributi sono quelli tipici dell’universo ferino, nella sua dimensione tutta pre-umana (e pre-umanizzata): vestito di pelli e sulla testa grandi corna ramificate. Inchiostro nero sul volto e campanacci sul petto, esso è il simbolo dell’inverno, della fame, del freddo, della mendicanza, la figurazione della parte più buia dell’animo umano, dell’irragionevole, della travolgente tendenza autodistruttrice. In preda ad una furia indomabile, crea scompiglio nella piazza, urlando e dimenandosi con violenza selvaggia. Nemmeno le movenze più aggraziate della bianca Cerva, la sua compagna, riescono a placarlo.

Come ogni mito comanda, è necessario un eroe civilizzatore: ed ecco Mago Martino, misterioso personaggio venuto dalla montagna, l’incarnazione del Bene chiamato a domare il Male: le bestie, adesso, sono state soggiogate. Ma non è sufficiente: il Male torna a vincere, perché i cervi riescono a divincolarsi e a seminare panico ancora una volta. Soltanto il definitivo intervento del Cacciatore, colui che incarna il trionfo della giustizia sulla tracotanza, riesce a frenare le forze disgregatrici: le bestie sono a terra, ferite dal colpo esiziale dell’arma da fuoco. Tuttavia, se è vero che la vita offre sempre una seconda possibilità, vien da sé che non tutto è stato ancora compiuto: il Cacciatore soffia “un alito di vita” nelle orecchie dei due animali ed essi si rianimano. Una possibilità di redenzione, una nuova vita lontana dalle asprezze degli istinti, dalla contaminazione. Gli animali, ora, sono liberi di correre verso le montagne, verso la natura incontaminata e rigenerati da un afflato di umanità. L’inverno è giunto al termine, torna la Primavera e, con essa, il rigoglio della Vita.

Credit foto: turismoinmolise
Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise 1024 538 Molise Eccellenze

Viaggio nelle tradizioni del Carnevale in Molise

A Carnevale ogni scherzo vale e, si può aggiungere, ogni tradizione bisogna rispettare: dai dolci tipici ai riti antichi, l’Italia ne è piena e il Molise non manca di dare il suo contributo. Esempi sono i comuni di Tufara, Jelsi e Larino che, tra celebrazioni antiche e spettacoli goliardici, ospitano alcuni degli eventi più rappresentativi del Carnevale molisano, tanto da attirare ogni anno l’attenzione di migliaia di turisti.

Il Diavolo di Tufara

Se ti trovi a Tufara (CB) il Martedì Grasso potresti imbatterti nel diavolo in persona: coperto da sette pelli di capro e con un tridente tra le mani come scudo, sbuca all’improvviso tra le strade del paese, incutendo timore ad ogni passante. Nemmeno le catene dei Folletti, vestiti di nero, riescono a fermare la sua danza scalmanata. Ma, alla fine, la Morte, impersonificata da uomo dal volto bianco con una falce tra le mani, riesce ad avere la meglio, trionfando sul caos (U Pisciatur) e sul Carnevale, rappresentato da un fantoccio, che viene lanciato dal castello longobardo, dopo essere stato infilzato dal Diavolo.

L’Uomo Orso di Jelsi

Sbuca, all’improvviso, dai boschi con fare minaccioso ma, a differenza del Diavolo di Tufara, non riesce ad avere la meglio: l’animale, tra urla spaventose, viene catturato da un “domatore” che, attraverso delle robuste catene, lo trascina tra le strade di Jelsi (CB) e lo costringe a danzare al grido di “Orso a posto! Orso olè! Balla orso!”. Ad accompagnarlo alcuni attori e cantanti che, in rima, narrano la sua vicenda, fungendo da colonna sonora. Questo rito antico, come quello di Tufara, ricorda le primordiali cerimonie invernali legate alla fertilità, con la speranza di abbondanti raccolti.

I Carri di Larino

La sfilata dei Carri allegorici di Larino (CB) rientra tra i 27 Carnevali Storici d’Italia e, d’altronde, non poteva essere altrimenti: in vita dal 1957, la manifestazione, negli anni, è cresciuta talmente tanto da diventare una fastosa sfilata che non ha nulla da invidiare ai più noti carnevali di Cento, Putignano, Viareggio. Ad essere riprodotti sono personaggi famosi del mondo politico, artistico e sociale, accompagnati da maschere, giocolieri e ballerini che contribuiscono a rendere la manifestazione allegra e colorata. Un evento indubbiamente d’obbligo per chi a Carnevale ama trascorrere delle ore di vitalità.

Credit foto: turismoinmolise